Intervento in occasione della mostra Moana Toujours, a Bagheria, presso il Centro d’Arte e Cultura Piero Montana, dal 09 al 30 Giugno 2018.

 

“Gabinetto Segreto” è il nome che Borbone di Napoli diedero alle sale del Museo Archeologico di Napoli in cui vennero raccolti i vari reperti a soggetto erotico o sessuale che man mano venivano alla luce negli scavi di Pompei ed Ercolano, dalle case private e soprattutto dai lupanari, le case di piacere dell’epoca: sepolti dall’eruzione del Vesuvio, risorsero affreschi e statuette di esplicito argomento erotico, anche orgiastico, decine di raffigurazioni di Priapo, (divinità dal fallo enorme, di segno benaugurante). Tornavano dunque alla luce, ma soltanto ad una stretta cerchia di pubblico, “persone di matura età e di conosciuta morale”. Quelle due salette, al piano seminterrato del museo, divennero così, come tutte le cose proibite, oggetto di curiosità morbosa e addirittura simbolo della lotta antiborbonica nel segno di una maggiore libertà di espressione. Basti pensare ad opere come I Neoplatonici di Luigi Settembrini, patriota antiborbonico, futuro senatore, nel cui gioco letterario di richiami alla sfera omoerotica classica, molti studiosi hanno intravisto una forma mascherata di “dichiarazione”, o come si dice oggi di “coming out”: qualche decennio prima di Oscar Wilde!

Dopo i primi moti rivoluzionari del ’48, pertanto, il Gabinetto venne chiuso anche ai pochi visitatori prima consentiti, in quanto considerato politicamente pericoloso.

Venne addirittura proposta la distruzione dei reperti, “monumenti infami della gentilesca licenza” e “lascivissimi”, al fine di salvaguardare la buona reputazione della casa reale.

L’allora direttore del real museo Borbonico riuscì ad ottenere che la collezione venisse chiusa ai visitatori e resa difficile la sua visita: il portone di accesso venne fornito di ben tre serrature con altrettante chiavi diverse, in possesso rispettivamente del direttore del museo, del custode, e della famiglia reale.

Il culmine della censura la si ebbe nel 1851 quando, dopo che vi furono rinchiuse anche tutte le Veneri semplicemente perché nude, la collezione fu definitivamente sigillata ed infine anche murata affinché “…se ne disperdesse per quanto era possibile la funesta memoria”.

Quando nel settembre 1860 Garibaldi arrivò a Napoli, egli diede subito l’ordine di rendere accessibile la sala “giornalmente al pubblico”. Delle tre chiavi, non trovandosi quella in dotazione alla casa reale, Garibaldi non esitò, tra lo sconcerto generale, ad ordinare di “scassinare le porte”.

Nel corso dei decenni successivi, alla libertà restituita da Garibaldi subentrò progressivamente la censura del regno d’Italia che vide il suo culmine durante il ventennio fascista, quando per visitare il Gabinetto occorreva il permesso del ministro dell’educazione nazionale a Roma. La censura perdurò nel dopoguerra fino al 1967, allentandosi solo dopo il 1971 quando dal ministero furono impartite le nuove regole per regolamentare le richieste di visita e l’accesso alla sezione.

La collezione, riallestita, è stata definitivamente aperta al pubblico soltanto nell’aprile del 2000. Moana era ormai scomparsa da sei anni e nell’Italia delle ragazze cin-cin di Colpo Grosso, non aveva proprio più senso prendersela con delle statuette.

Perché vi ho tediato con questo excursus storico? Il motivo è presto detto: come saprete, da qualche anno il complesso museale di Villa Cattolica si è arricchito di un’importante sezione, dedicata al manifesto cinematografico. Si tratta di uno dei pochi musei del genere in Italia ed è frutto della generosità di due fratelli cinematografari, i Lo Medico, che lasciarono in eredità questi meravigliosi reperti – alcuni davvero rari – al Comune di Bagheria. Visitare quelle stanze tappezzate di manifesti e locandine, dei volti dei divi italiani e hollywoodiani che hanno fatto la storia è un’esperienza unica.

Ebbene, la collezione che da oggi si può ammirare al Centro d’Arte e Cultura di Piero Montana, per la fortunosa e fortunata vicenda di procacciamento che ha visto il nostro Piero protagonista, rappresentano ciò che fu il Gabinetto Segreto rispetto al Museo Archeologico di Napoli: ovvero la testimonianza di una realtà storica (quella della cinematografia pornografica) che non può essere ignorata, anche se ci può essere “sgradita” per convincimenti eticomorali o religiosi; la pornografia su pellicola nasce infatti il giorno dopo la prima proiezione dei Fratelli Lumiere e da allora non ha mai smesso di accompagnare il fratello maggiore, essendone suo necessario contraltare, condividendone in oltre cent’anni di vita alterne fortune e crisi, come la nascita della televisione, e ultimamente l’avvento della pirateria su internet e lo streaming.

Oggi, la pornografia domestica, consumata davanti lo schermo di un PC, raggiunge volumi d’affari in tutto il mondo impressionanti, anche in Paesi dall’elevato controllo pseudomorale e poliziesco. Lo stato europeo con il maggior numero di contatti sul più importante portale di filmati porno per numero di abitanti è, infatti, Città del Vaticano.

Dunque, oggi che la pornografia è a portata di clic e i cinema a luci rosse sono ormai sparute presenze nei panorami urbani delle nostre città, che senso ha ri-proporre una mostra dedicata a Moana?

Quando a Marzo Piero ha ripreso le attività del Centro, ho subito pensato che fosse necessario proporre questa mostra: non sapevo del precedente del 1996 (ero troppo piccolo) e Piero mi ha subito dimostrato piena disponibilità: l’importanza artistica di questa collezione è del resto facilmente intuibile, purché ci si scrolli di dosso certo polveroso bigottismo. Questi muti testimoni, infatti, costringono tutti noi ad una riflessione su cosa sia (stata) la pornografia, cosa l’erotismo, su quale modello di società vogliamo rappresentare e ricercare: se quello ipocrita “all’italiana” dei vizi privati e delle pubbliche virtù oppure finalmente quello di un erotismo vissuto liberamente, alla luce del sole, come strumento anche di autodeterminazione, soprattutto delle donne.

E poi, c’è Moana, che ha rappresentato col suo corpo questa battaglia, per sdoganare la pornografia dalla pornografia stessa. In Moana la scandalosa, film di clamoroso successo del 1988, la Pozzi volle inserire, all’inizio del film, questo suo monologo:

«Ma io sono veramente bella? Pura? A Volte mi sembra di essere come una matrioska, un insieme di me stessa, una dentro l’altra, alla ricerca di qualcosa d’essenziale che si trova nella parte più nascosta della mia personalità, nella mia anima. Chi ha rapporti con me, riesce a percepire tutto questo? Oppure vengo giudicata soltanto per quello che sembro: una bambola fatta solo di carne? Se così fosse, mi dispiacerebbe davvero. Eppure, io mi sento libera, pura, come un tutt’uno con questa natura che mi circonda, che mi attrae, che mi inebria. È per questo che mi espongo senza veli, senza ipocrisia, così come sono stata concepita.»

Se questo non è un manifesto edonista degno di Nietsche…

Alla morale cattolica, per essere più precisi, alla morale di quell’autentico fondamentalista che fu Paolo di Tarso, imbevuta di mortificazione del corpo, di esaltazione del dolore fisico come merce di scambio per una felicità mai ottenuta in terra, di sottomissione della donna all’uomo, di cui si è anche reso complice uno stupido femminismo di maniera, Moana ha risposto, con la profondità di un pensiero tradotto in azione, in autentico anticonformismo femminista.

Il nostro omaggio, pertanto, vuole essere insieme una testimonianza di un’età dell’oro della pornografia cinematografica, di quelle buie sale ormai quasi estinte, dove al cinema si chiedeva un brivido che andasse al di là dell’immagine proiettata e soprattutto un omaggio alla prima filosofa e poi pornodiva Moana Pozzi, degna epigona di Epicuro, Lucrezio, Nietsche e Foucault, che ha dato corpo al suo pensiero, una dea immortale, bella e materna come Afrodite, acuta e determinata al pari di Atena.

Moana, in una parola, vive. E dunque, W Moana!